La Corte di Cassazione ribadisce il principio di parità di trattamento affermato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale (Corte Cass., sez. lavoro, sentenza n. 14733/2011 dd. 5 luglio 2011).
La Corte di Cassazione, sez. lavoro, con la sentenza n. 14733/2011 dd. 5 luglio 2011, ha definitivamente riconosciuto ad una cittadina marocchina, invalida civile, regolarmente soggiornante in Italia assieme ai suoi familiari, ma non in possesso del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti, il diritto al riconoscimento dell'indennità di accompagnamento, prestazione sociale erogata dall'INPS e prevista dell'art. 1 della legge n. 18/1980 a favore degli invalidi civili incapaci di deambulare autonomamente.
Con sentenza n. 1273/2007 depositata il 14.11.2007, la Corte di Appello di Torino aveva riconosciuto alla cittadina marocchina in oggetto il diritto alla prestazione di assistenza sociale, facendo richiamo all'art. 41 dell'accordo di cooperazione tra Comunità europea e Regno del Marocco firmato il 27.4.1976, il quale prevede il principio di parità di trattamento tra lavoratori marocchini e loro familiari regolarmente residenti in uno Stato membro e i cittadini dello Stato membro per quanto concerne le prestazioni di sicurezza sociale.
L'INPS aveva inoltrato ricorso contro la sentenza dei giudici di merito.
La sentenza della Corte di Appello di Torino è uno dei pochi precedenti di giurisprudenza in Italia che ha riconosciuto come rientranti nel campo di applicazione del diritto comunitario (ora dell'Unione europea) anche le clausole di "non discriminazione" in materia di sicurezza sociale contenute negli Accordi di Associazione euromediterranei stipulati tra la Comunità Europea e i relativi Stati terzi. Si tratta, nello specifico, degli Accordi euromediterranei che istituiscono un'Associazione tra le Comunità Europee e i loro Stati membri, da un lato, e rispettivamente la Repubblica Tunisina, il Regno del Marocco e l'Algeria, dall'altro, tutti ratificati con legge e vincolanti per l'Italia in quanto membro della CE (ora Unione europea).
Tali accordi, infatti, contengono espressamente una clausola di parità di trattamento nella materia della "sicurezza sociale".Infatti, a titolo di esempio, l'art. 68 dell'Accordo euromediterraneo con l'Algeria firmato il 22 aprile 2002 ed entrato in vigore il 10 ottobre 2005 (e clausole del tutto analoghe sono contenute negli accordi con Marocco firmato il 26.02.1996 ed entrato in vigore il 01.03.2000 e Tunisia firmato il 17.07.1995 ed entrato in vigore il 01.03.1998, ma non invece in quelli sottoscritti con Egitto, Israele, Regno di Giordania, Palestina) prevede che "1....i lavoratori di cittadinanza algerina e i loro familiari conviventi godono, in materia di sicurezza sociale, di un regime caratterizzato dall'assenza di ogni discriminazione basata sulla cittadinanza rispetto ai cittadini degli Stati membri nei quali essi sono occupati. 2. Il termine "sicurezza sociale" include i settori della sicurezza sociale che concernono le prestazioni relative alla malattia e alla maternità, all'invalidità, le prestazioni di vecchiaia e per i superstiti, i benefici relativi agli infortuni sul lavoro, alle malattie professionali, al decesso, le prestazioni relative alla disoccupazione e quelle familiari". Il successivo art. 69 specifica quali destinatari della previsione sulla parità di trattamento "i cittadini delle parti contraenti residenti o legalmente impiegati nel territorio dei rispettivi paesi ospiti", fissando dunque l'unico requisito della residenza o dell'attività lavorativa legale svolta nel territorio della parte contraente.
E' opportuno ricordare al riguardo l'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, secondo la quale la nozione di "sicurezza sociale" contenuta nei citati Accordi euromediterranei - ed ancor prima negli accordi di cooperazione che li hanno preceduti- deve essere intesa allo stesso modo dell'identica nozione contenuta nel regolamento Ce n. 1408/71 (ora sostituito dal Regolamento CE n. 883/2004) . Tale regolamento, a partire dalle modifiche apportate dal Regolamento del Consiglio 30/4/1992 n. 1247, ha incluso nella nozione di "sicurezza sociale" le "prestazioni speciali a carattere non contributivo", [incluse quelle] destinate alla tutela specifica delle persone con disabilità, [...] ed elencate nell'allegato II bis", che per quanto concerne l‘Italia, menziona espressamente quelle prestazioni che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di assistenza sociale cioè la pensione sociale, le pensioni e le indennità ai mutilati ed invalidi civili, ai sordomuti, ai ciechi civili, gli assegni per assistenza ai pensionati per inabilità. Al fine di essere chiari ed esaustivi, vale la pena citare interamente le conclusioni tratte dalla Corte di Giustizia Europea dopo essere stata interpellata dal giudice nazionale belga in merito all'applicabilità della clausola di non-discriminazione in materia di "sicurezza sociale" prevista dal precedente accordo di cooperazione tra Comunità Europee e Algeria, firmato nel 1976 e poi sostituito dall'Accordo euromediterraneo di Associazione, in riferimento ad una prestazione sociale non contributiva per disabilità: "Per quanto riguarda,.., la nozione di previdenza sociale che figura in questa disposizione, dalla citata sentenza Krid (punto 32) e, per analogia, dalle citate sentenze Kziber (punto 25), Yousfi (punto 24) e Hallouzi-Choco (punto 25) risulta che essa va intesa allo stesso modo dell'identica nozione contenuta nel regolamento n. 1408/71. Ora dopo la modifica operata dal regolamento (Cee) del Consiglio 30/04/1992 n. 1247, il regolamento n. 1408/71 menziona esplicitamente all'art. 4, n. 2 bis, lett. b ) (vedi anche l'art. 10 bis, n. 1, e l'allegato II bis di questo regolamento), le prestazioni destinate a garantire la tutela specifica dei minorati. Del resto, anche prima di questa modifica del regolamento n. 1408/71, costituiva giurisprudenza costante, sin dalla sentenza 28/5/1974, causa 187/73, Callemeyn (Racc. p. 553), che gli assegni per minorati rientravano nell'ambito di applicazione ratione materiae di questo regolamento... Di conseguenza, il principio,..., dell'accordo, che vieta qualsiasi discriminazione basata sulla cittadinanza nel campo della previdenza sociale dei lavoratori migranti algerini e dei loro familiari con essi residenti rispetto ai cittadini degli Stati membri in cui essi sono occupati comporta che le persone cui si riferisce questa disposizione possono aver diritto agli assegni per minorati alle stesse condizioni che devono essere soddisfatte dai cittadini degli Stati membri interessati" (Corte di Giustizia europea 15/01/1998 C-113/97 caso Henia Babahenini c. Stato Belga).
Con riferimento alla normativa belga sul reddito minimo garantito per le persone anziane, l'equivalente dell'assegno sociale italiano, e che escludeva da tale provvidenza i cittadini stranieri a meno che non beneficino già di una pensione di invalidità o di reversibilità, la Corte di Giustizia Europea, ord. 17 aprile 2007 (caso Mamate El Youssfi c. Office National des Pensions) ha concluso che "l'art. 65, n. 1, primo comma, dell'Accordo euromediterraneo che istituisce un'associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco, dall'altra, firmato a Bruxelles il 26 febbraio 1996 e approvato a nome delle dette Comunità con la decisione del Consiglio e della Commissione 24 gennaio 2000, 2000/204/CE, CECA, deve essere interpretato nel senso che esso osta a che lo Stato membro ospitante rifiuti di accordare il reddito minimo garantito per le persone anziane ad una cittadina marocchina che abbia raggiunto i 65 anni di età e risieda legalmente nel territorio del detto Stato, qualora costei rientri nell'ambito di applicazione della succitata disposizione per avere essa stessa esercitato un'attività di lavoro dipendente nello Stato membro di cui trattasi oppure a motivo della sua qualità di familiare di un lavoratore di cittadinanza marocchina che è od è stato occupato in questo medesimo Stato".
Alla luce, pertanto, della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea i lavoratori di nazionalità marocchina, tunisina, algerina e turca ed i loro familiari, dovrebbero godere del principio di parità di trattamento con i cittadini italiani in relazione a tutte le prestazioni sociali aventi natura di diritto soggettivo previste dalla legislazione italiana. Tali disposizioni di diritto comunitario, tuttavia, appaiono tuttora poco conosciute e largamente, se non completamente, disattese, così come la scarsa giurisprudenza di merito e di legittimità finora maturata ha assunto un indirizzo interpretativo non sempre conforme alla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea. Ci si riferisce qui alla Corte di Cassazione, sez. lavoro, sentenza 29 settembre 2008, n. 24278, nella quale si è affermato che l'istituto dell'assegno familiare per i nuclei familiari numerosi ed in condizioni di disagio economico ex art. 65 della legge n. 448/1998 non può essere riconosciuto ai lavoratori di nazionalità tunisina, in quanto l'art. 65 della L. n. 35/1997, che ha ratificato l'accordo di Associazione euro-mediterraneo del 17 luglio 1995 tra la Comunità europea e la Tunisia, garantirebbe la parità di trattamento solo in materia di previdenza sociale. Tale principio di parità di trattamento non potrebbe dunque essere esteso alle misure di assistenza sociale ovvero alle prestazioni sociali a carattere non contributivo, cui appartiene l'istituto dell'assegno familiare ex art. 65 della l. n. 448/1998. Tale principio tutelerebbe i lavoratori tunisini solo in quanto lavoratori e, quindi, nell'ambito ristretto alla loro possibilità di accedere alle prestazioni previdenziali previste per i cittadini italiani. Tale equiparazione invece non si estenderebbe alla fruizione delle prestazioni di natura assistenziale riconosciute dal legislatore italiano ai cittadini indigenti a prescindere dalla loro appartenenza alla categoria dei lavoratori e quindi dalla loro effettiva capacità contributiva. Secondo la ricostruzione fatta propria dalla Cassazione, le prestazioni assistenziali a natura non contributiva, come ad esempio l'assegno per i nuclei familiari numerosi con almeno tre figli minori a carico e in disagiate condizioni economiche di cui all'art. 65 della legge n. 448/1998, non rientrerebbero nel campo di applicazione ratione materiae del principio di non discriminazione in materia di sicurezza sociale così come sancito dall'Accordo di associazione. La Corte di Cassazione ha confermato l'orientamento espresso nei precedenti gradi di giudizio dal Tribunale di Marsala (sent. 17.04.2002) e dalla Corte d'Appello di Palermo (sent. 17.01.2005), in base al quale il principio della parità di trattamento, previsto dall'Accordo Euromediterraneo tra CE e Tunisia (e analogo principio è contenuto negli analoghi accordi sottoscritti tra CE e rispettivamente Marocco, Algeria, nonché nella Decisione del Consiglio di applicazione dell'Accordo di Associazione CE-Turchia), non sarebbe applicabile alle prestazioni di assistenza sociale, ma solo a quelle di natura previdenziale, sorrette cioè da meccanismi contributivi.
La decisione della Cassazione non è condivisibile, perchè, nel ritenere che l'assegno al nucleo familiare, costituendo una prestazione di natura assistenziale, non rientri nel campo di applicazione dell'accordo di Associazione Euromediterraneo, ha interpretato le norme di tale accordo fondandosi esclusivamente su una distinzione caratteristica del diritto italiano, senza peraltro considerare che la giurisprudenza comunitaria ha elaborato da tempo dei criteri che consentono di stabilire se una prestazione, anche se di tipo non contributivo, rientri o meno nel campo di applicazione materiale del Regolamento 1408/71. L'interpretazione del diritto comunitario, cui appartengono a pieno titolo le norme dei suddetti accordi di associazione euro-mediterranei, deve avvenire non sulla base delle nozioni caratteristiche del diritto interno dei singoli paesi membri, bensì deve fondarsi sulle nozioni di diritto comunitario sviluppate dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea. Tale metodo vale anche per la qualificazione ratione materiae dell'assegno per i nuclei familiari.
Giustamente, dunque, la Corte di Appello di Torino non aveva ritenuto di seguire l'orientamento della Corte di Cassazione ed aveva riconosciuto alla cittadina marocchina il diritto all'erogazione dell'indennità di accompagnamento, sulla base del principio dell'immediata e diretta applicabilità della norma dell'Accordo di Associazione CEE-Marocco in quanto norma di diritto europeo e del conseguente suo primato su ogni norma di diritto interno ad essa confliggente. Un altro esempio di giurisprudenza che ha correttamente recepito tale norma di diritto europeo è l'ordinanza del Tribunale di Genova che ha riconosciuto ad un cittadino marocchino titolare di solo permesso di soggiorno il diritto alla corresponsione dell'assegno di invalidità civile, per effetto della diretta applicazione dell'Accordo euromediterraneo tra l'Unione Europea ed il Marocco, in grado di fondare posizioni soggettive direttamente tutelabili dinanzi al giudice nazionale (Corte di Giustizia, 2 marzo 1999, causa C-416/96, Nour Eddline Al-Yassini c. Regno Unito; Tribunale di Genova, sez. per le controversie in materia di lavoro, ordinanza dd. 3 giugno 2009, causa n. 11/2009 R.G.) . Più recentemente, c'è da segnalare l'ordinanza del Tribunale di Verona n. 745/2009 depositata il 14.01.2010, con la quale il giudice del lavoro ha accolto il ricorso proposto da un cittadino marocchino avverso il diniego opposto dall'INPS al riconoscimento dell'indennità speciale per i ciechi parziali prevista dalla legge n. 382/1970, per il mancato possesso della carta di soggiorno o permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti previsto dall'art. 80 c. 19 della legge n. 388/2000. Il giudice del lavoro di Verona ha accolto le istanze del ricorrente, secondo le quali la norma di cui alla legge n. 388/2000 che prevede per gli stranieri extracomunitari la condizione del possesso della carta di soggiorno o permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti di cui all'art. 9 del d.lgs. n. 286/98 ai fini dell'accesso alle prestazioni sociali che costituiscono diritti soggettivi ai sensi della legislazione vigente, incluse quelle per i ciechi, non deve trovare applicazione nei confronti dei lavoratori di nazionalità marocchina regolarmente residenti in Italia. Questo perché tali lavoratori possono godere del principio di parità di trattamento in materia di sicurezza sociale previsto dall'art. 65 primo comma dell'Accordo di Associazione tra le Comunità Europee e i loro Stati membri e il Regno del Marocco firmato a Bruxelles il 28 gennaio 1996.
In quest'occasione, con la sentenza n. 14733/2011, la Corte di Cassazione non ha ritenuto di pronunciarsi sull'interpretazione della clausola di parità di trattamento in materia di prestazioni di sicurezza sociale, contenuta negli accordi di Associazione CEE-Marocco. Per respingere la pretesa dell'INPS di applicare il requisito del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti ai fini dell'accesso alle prestazioni di assistenza sociale che costituiscono diritti soggettivi alla luce della legislazione vigente, secondo quanto introdotto dall'art. 80 c. 19 della legge n. 388/2000, la Corte di Cassazione ha infatti ritenuto sufficiente appoggiarsi al consolidato orientamento della Corte Costituzionale che ha giudicato in contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost. la citata norma contenuta nella legge finanziaria 2001. La Corte di Cassazione ha dunque ripercorso i tratti salienti di tale giurisprudenza, con la quale il giudice delle leggi ha ritenuto manifestamente irragionevole subordinare, quanto ai cittadini extracomunitari legalmente soggiornanti in Italia, l'attribuzione di prestazioni assistenziali che costituiscono diritti soggettivi, al possesso di un titolo di legittimazione come il permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti che richiede, tra l'altro, la titolarità di un reddito in un determinato ammontare ed il regolare soggiorno nello Stato da un certo numero di anni. Ugualmente, il giudice delle leggi ha sottolineato come le prestazioni di assistenza sociale destinate alle personale disabili rientrino nella tutela del diritto alla salute, inteso come diritto ai rimedi possibili alle menomazioni prodotte dalla disabilità; diritto alla salute che, in quanto diritto fondamentale, deve spettare a tutti, senza distinzioni fondate sulla nazionalità, con questo vietandosi ogni forma di discriminazione nei confronti degli stranieri legittimamente soggiornanti nel territorio dello Stato. Questo tanto più dopo la ratifica ed entrata in vigore nel nostro paese della Convenzione ONU sui diritti delle persone disabili, che fa espressamente riferimento al principio di non discriminazione (Corte Cost., sentenze n. 306/2008, 11/2009, ordinanza n. 285/2009, sentenza n. 187/2010).
Molto meno favorevole per le persone disabili, invece, la parte della sentenza della Cassazione, nella quale la Corte consolida un orientamento recentemente emerso con le sentenze n. 5003 e 4677/2011, riguardo alle condizioni reddituali richieste per l'assegnazione del beneficio della pensione di inabilità, e secondo il quale si deve aver riguardo non solamente al reddito proprio dell'invalido, ma anche - se costui è coniugato - al reddito eventuale del coniuge. In sostanza, per accedere alla pensione di inabilità o di invalidità civile, non deve essere superato il limite di reddito (previsto per euro 15.305,79 per il 2011), tenendo conto però anche dei redditi del coniuge, seguendo la stessa logica prevista per la pensione sociale, mentre fino ad ora veniva considerato solo il reddito dell'invalido.
A cura di Walter Citti del servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose. Progetto ASGI con il sostegno finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS.
12 luglio 2011